La Diagnosi

06.01.2023

Pur essendo la psicoanalisi una cura che muove a partire da un sintomo - da quel "qualcosa che non va" e che porta un paziente a chiedere un aiuto - non necessita essa, per procedere, di alcuna formulazione diagnostica, in quanto, in analisi, non si tratta di definire, classificare, inquadrare quel sintomo in una categoria psicopatologica predefinita, bensì di comprenderne le ragioni, attraverso una interrogazione soggettiva che attiene al "cosa vuol dire?'" quel sintomo di cui il paziente soffre, e non al "cosa è?"

Al contrario di quanto avviene in Medicina, dove la cura corretta può essere stabilita solo a partire da una corretta diagnosi, cura che tanto più può essere mirata quanto più la diagnosi è stata precisa, in psicoanalisi la diagnosi è piuttosto una conseguenza dell'atto terapeutico, dell'atto analitico, poiché, se la diagnosi significa - come ci dice l'etimologia del termine - "dia-gnosis" (conoscere-tra), allora il procedimento psicoanalitico - che si avvale di quel conoscere tra le righe di ciò che il paziente dice e che è l'interpretazione - è pratica curativa e diagnostica nello stesso tempo, dove il momento diagnostico è però continuamente messo in discussione dalla trama attraverso cui il paziente intesse il proprio discorso.

La diagnosi in ambito psi è in effetti sempre predittiva non di quello che il paziente è o ha, ma di quello che un altro ha stabilito che il paziente sia o abbia. Un altro che non è neanche detto che sia un dottore, un altro che può essere anche un genitore, un partner, un amico, un prete, ecc. "Mi sembra che tu sia depresso", "dottore mio figlio è ansioso" non sono altro che formulazioni diagnostiche che definiscono, stigmatizzano, classificano il soggetto a a partire dai suoi sintomi. La psichiatria non fa niente di diverso. La diagnosi psichiatrica è il discorso dell'altro che promuove l'identificazione del paziente con la "malattia" che gli si suppone

La psicoanalisi invece richiede che tale identificazione venga messa da parte affinché sia il paziente, e solo il paziente, non l'Altro, non il dottore, il genitore, il partner, a dire quello che il paziente abbia che non vada bene.

Per questo l'analista dice al paziente "parli!", proponendo in tal modo il metodo delle libere associazioni, la sola via per una "dia-gnosis" che sia in rapporto con la verità soggettiva e non con quella prestabilita dalla Scienza.

Perché il sintomo psicoanalitico vuol dire sempre qualcosa che è dell'ordine del discorso del soggetto e non dell'Altro. Utilizzarlo per farne il segno di una malattia prestabilita significa spossessare il paziente del suo discorso.

"Il sintomo è un discorso, per questo lo ascoltiamo" ricorda Lacan, lo ascoltiamo, non lo "inquadriamo". Il sintomo è ciò che "causa" il paziente nel discorso che rivolge all'analista.

Dovremmo allora tener presente che quando, come "dottori", comunichiamo una diagnosi al nostro paziente, non gli stiamo dando soltanto una informazione più o meno azzeccata sul suo stato di salute, ma gli trasmettiamo anche un nuovo significante sul piano dell'essere, una suggestione di identificazione che non lo lascerà più, neanche a guarigione avvenuta.

Come "dottori", bdobbiamo stare molto attenti quando comunichiamo una diagnosi ad un paziente: dobbiamo saper bene-dire, in quanto una diagnosi, più che la lettura di qualcosa che è già nel corpo, è la scrittura di qualcosa di nuovo nel corpo.

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